I player finanziari conoscono i rischi ESG dei loro debitori?

News Sustainability
26/09/2023

Le esclusive analisi CRIF condivise con i supervisor europei e con i CRO dei principali player finanziari italiani nel simposio annuale sui trend in tema di risk management

Il settore finanziario riveste un ruolo portante nella strategia dell’Unione Europea per migliorare gli standard ESG delle imprese (e cioè la loro attenzione ai fattori ambientali, sociali e di buon governo societario) e per combattere il cambiamento climatico. Da un lato, infatti, la Commissione, il Consiglio Europeo e l’Euro-Parlamento – considerata l’assenza di una vera politica fiscale pan-europea e i vincoli di bilancio cui è sottoposta la spesa pubblica dei Paesi membri - puntano a mobilitare capitali privati per accelerare la transizione del sistema produttivo verso assetti maggiormente sostenibili. Dall’altro le autorità di vigilanza richiedono agli istituti di credito di misurare i fattori ESG, con particolare attenzione ai rischi climatici suscettibili di generare perdite ingenti per l’intero sistema bancario.

Di conseguenza, sono divenuti frequenti i richiami della Banca Centrale Europea (BCE) e dell’Autorità Bancaria Europea (EBA) affinché le banche affinino il livello di conoscenza dei rischi ESG e climatici dei loro debitori e comunichino con trasparenza i dati sul livello di vulnerabilità dei propri portafogli creditizi, così che un pubblico sempre più attento ai rischi ambientali possa premiare gli istituti maggiormente virtuosi. A partire dal 2024, ad esempio, le informazioni sui rischi finanziari rese note con cadenza annuale e semestrale dovranno includere un’intera sezione relativa ai profili ESG, completa di indicazioni sul grado di esposizione delle imprese debitrici al rischio di eventi climatici estremi o di perdite legate a un eccessivo volume di emissioni di gas serra.

In molti Paesi europei, tra cui l’Italia, questo sforzo si scontra con la presenza di un vastissimo substrato di piccole e medie imprese (“PMI”, che rappresentano oltre la metà del valore aggiunto prodotto dal settore non-finanziario e quasi i due terzi dei relativi posti di lavoro): queste ultime sono meno soggette a obblighi informativi in tema di sostenibilità e risultano sovente poco propense a comunicare alla propria banca i dati necessari per comprendere il loro grado di esposizione al rischio climatico. Esistono dunque dei “gap” informativi significativi che è necessario colmare attraverso stime esperte: negli ultimi anni CRIF ha messo a punto una suite di strumenti di questo tipo, estesi a tutte le società italiane e non solo alle più grandi, tra cui “score ESG che sintetizza in un singolo numero i progressi raggiunti da un’azienda (e può essere scomposto nelle singole determinanti del risultato finale), indici di rischio fisico e di transizione, misure di allineamento agli standard di sostenibilità (la c.d. “tassonomia”) promossi dal legislatore europeo.

Utilizzando questi indicatori, CRIF ha recentemente realizzato un white paper (“ESG Outlook”) che fotografa il livello di vulnerabilità delle imprese e delle famiglie italiane. Per quanto riguarda le prime, il focus è principalmente sulle PMI, che in media risultano maggiormente esposte ai rischi ESG di quanto non accada per le aziende di maggiore dimensione. La ricerca misura, tra l’altro, i livelli di rischio ambientale delle regioni italiane (più consistenti per le regioni del Sud), di sensibilità agli obiettivi sociali (più elevata nei settori in cui la dimensione media delle PMI è relativamente elevata), di allineamento alla tassonomia dei diversi settori merceologici.

Proprio le tematiche ESG hanno rappresentato il focus di un recente “Credit Risk Club”, il workshop organizzato periodicamente da CRIF e aperto ai Chief Risk Officer e Chief Lending Officer delle principali banche italiane.

Nel presentare lo studio di CRIF, Marco Macellari, Head of Risk Management Consulting di CRIF. ha sottolineato la necessità di disporre di stime capillari, che vadano oltre le tradizionali segmentazioni per comune o per settore industriale, visto che all’interno di tali partizioni convivono livelli di esposizione al rischio molto diversi tra loro. Si è inoltre soffermato sul legame tra rischi climatici e rischio di credito, mostrando come i primi siano in generale associati a perdite creditizie maggiormente consistenti (per esempio, i tassi di perdita associati a garanzie immobiliari soggette a rischi di inondazione risultano sensibilmente più elevati della media).

Per catturare simili interazioni, tuttavia, è necessario collocarsi in una prospettiva pluriennale, che vada oltre il classico orizzonte a un anno tipico dei rating regolamentari: “Dopo il terremoto dell’Emilia-Romagna del 2012, ad esempio”, ha chiosato Macellari, “i livelli di perdita sui prestiti al consumo erogati a soggetti interessati dal sisma sono rimasti inizialmente costanti, in quanto i debitori usufruivano di moratorie e dilazioni straordinarie. Solo negli anni successivi si è assistito a un netto peggioramento dei tassi di default rispetto a quanto osservato sul resto del portafoglio”.

Nel suo intervento Andrea Resti, professore di risk management presso l’Università Bocconi e senior advisor di CRIF, ha segnalato come la difficoltà di ottenere dati dalle PMI potrebbe mettere a repentaglio una parte dei nuovi obiettivi di disclosure dei rischi ESG assegnati alle banche a partire dal 2024, ritardando nel tempo la diffusione di una stima del livello di “accettabilità” ambientale dei finanziamenti erogati a imprese non quotate con meno di 250 dipendenti: “In questo contesto”, secondo Resti, “la disponibilità di proxy di buona qualità su cui fondare stime è essenziale per mettere in moto meccanismi virtuosi di progressivo adeguamento alle nuove esigenze informative”.

Sempre nel corso del workshop tenutosi a Milano lo scorso 11 settembre, alcune delle principali banche italiane hanno fatto il punto sugli strumenti messi a punto per misurare e comunicare all’esterno il rischio climatico presente nel proprio portafoglio di impieghi.

Davide Alfonsi, Chief Risk Officer, Intesa Sanpaolo and Guido Genero Head of Risk Clearing, Intesa Sanpaolo hanno passato in rassegna i modelli utilizzati per comprendere l’impatto del rischio fisico e del rischio di transizione sul rischio di insolvenza delle imprese e sul valore delle garanzie immobiliari, soffermandosi sugli accorgimenti necessari per facilitare la raccolta di dati di qualità presso le imprese affidate, incluse quelle di dimensioni non elevate.

Fabrizio Reggi, Chief Risk Officer del Gruppo Crèdit Agricole Italia, ha illustrato gli ambiziosi obiettivi di orientamento e riqualificazione del portafoglio impieghi del proprio Gruppo verso criteri coerenti con i principi di sostenibilità ambientale, di inclusione e di governance stabiliti dal Regolatore. Sono stati illustrati gli stati di avanzamento che il Gruppo CAI ha raggiunto in relazione alle richieste regolamentari e le deadlines 2023-2024, a partire dagli obiettivi di NZBA, e i primi report manageriali prodotti dal Risk con particolare riguardo ai rischi fisici e di transizione, con la conseguente definizione di un Piano di azione che vede il coinvolgimento di tutte le principali Funzioni Aziendali e sorvegliato dal Risk Management, cui spetta il compito di aggiornamento al Board della coerenza complessiva delle azioni intraprese in rapporto alle attese e scadenze del Regolatore.

Corrado Pavanati, Head of Risk Italy di UniCredit, si è soffermato sulle sfide principali affrontate nel settore bancario per assicurare un sempre più solido presidio del rischio e in particolare ha illustrato in che modo sta avvenendo l'integrazione della misurazione del rischio climatico all'interno dei processi aziendali

Alle presentazioni delle banche ha fatto seguito il punto di vista delle autorità di vigilanza.

Al dibattito sono intervenuti anche due importanti esponenti delle autorità di vigilanza europee, e segnatamente della BCE e dell’EBA, che hanno interloquito con le banche ed espresso – a titolo informale – la loro percezione delle diverse problematiche legate ai temi ESG. In primo luogo, essi hanno ricordato come – proprio su sollecitazione dei supervisori – le banche dell’area euro siano passate in pochi anni da un sostanziale scetticismo sulla possibilità di misurare e governare i rischi climatici a un atteggiamento ben più dinamico e proattivo; osservando, tuttavia, che restano numerosi obiettivi da conseguire, e che l’attenzione della vigilanza sulle mosse delle singole banche è destinata a rimanere elevata anche nel prossimo futuro. Proprio per questo, gli esponenti di BCE e EBA hanno preannunciato una serie di ulteriori iniziative in materia di rischi ESG, in particolare di quelli climatici, che saranno oggetto di consultazione con le banche e potrebbero portare ad un ampliamento delle informazioni che gli intermediari devono rendere note nelle proprie comunicazioni periodiche al mercato

Al termine di un dibattito approfondito e vivace, animato anche da una instant survey, Giorgio Costantino, responsabile dei Global Transformation Services di CRIF, ha sottolineato come dal confronto tra solution provider, banche e autorità siano emersi preziosi spunti di lavoro per i mesi a venire, rinnovando l’interesse di CRIF per queste occasioni di interazione tra prospettive diverse e complementari: “Negli anni abbiamo promosso una lunga serie di workshop su tematiche tecniche, anche specialistiche, senza mai perdere di vista le implicazioni di policy e di sistema delle scelte condotte dalle banche e dal regolatore. Come CRIF ci sentiamo impegnati a proseguire questo confronto, associando alla prospettiva italiana anche iniziative capaci di guardare al mercato europeo”.