Titoli strutturati e NPL: le verità di Bankitalia, i nuovi strumenti proposti da CRIF

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21/12/2018

Le banche europee non sono ancora al sicuro. È questo il messaggio emerso da un recente convegno internazionale organizzato dall’Università Cattolica di Milano insieme a CRIF e al Credit Risk Club. Nel mirino dei relatori vi erano i c.d. “attivi illiquidi” presenti nei bilanci degli intermediari, e più precisamente i crediti deteriorati e i titoli strutturati (strumenti finanziari per cui non esistono prezzi di mercato affidabili e che le regole contabili consentono di esporre in bilancio sulla base di stime interne). Il convegno ha ospitato la presentazione di due recenti lavori di ricerca della Banca d’Italia, discussi da un panel di studiosi, analisti, manager di banche internazionali e esponenti delle autorità di settore.

Sui titoli strutturati ha suonato l’allarme Rosario Roca, ispettore di via Nazionale con all’attivo una lunga attività sul campo, ma anche esperto di regole contabili e prassi gestionali bancarie. Questi strumenti finanziari, concentrati perlopiù presso grandi istituti tedeschi e francesi, sono difficili da valutare, sia per le banche che per la vigilanza. Quel che è certo però è che anche un piccolo errore nella stima del loro valore potrebbe avere conseguenze drammatiche sul patrimonio degli intermediari che li hanno in bilancio, così che una maggiore attenzione al fenomeno da parte delle autorità di vigilanza europee potrebbe risultare opportuna.

Un altro esperto di Bankit, Piergiorgio Alessandri, ha invece fatto il punto sui non-performing loans (“NPL”), riportando i risultati di un complesso e approfondito studio basato su dati a livello di singola banca e singola impresa debitrice. L’analisi smentisce il luogo comune secondo cui una banca appesantita dalle sofferenze presta di meno e frena l’economia. A contrario, l’emersione di nuovi crediti deteriorati e la minore domanda di credito da parte delle imprese (che rallenta la crescita degli impieghi) sono entrambi conseguenze di un’identica causa, e cioè il cattivo andamento dell’economia reale. Ripulire i bilanci dagli NPL – come ha chiesto in maniera pressante la BCE alle grandi banche italiane – non basta dunque a far ripartire i prestiti e lo sviluppo economico.

In perfetta sintonia con questi risultati, il vicedirettore generale della Banca d’Italia Fabio Panetta ha chiesto che l’azione della vigilanza sia incisiva, ma non imponga cessioni di NPL a qualsiasi costo. Gli ha fatto eco Roberto Gualtieri, presidente della Commissione Finanze del Parlamento Europeo, ricordando come non sia possibile imporre alle banche un indiscriminato aumento delle rettifiche sui crediti deteriorati senza una nuova legge sull’argomento, da applicarsi solo ai crediti di nuova erogazione.

Proprio sul tema degli NPL è intervenuto Andrea Resti, professore della Bocconi e senior advisor di CRIF, per segnalare due innovazioni di processo che incidono positivamente sull’efficacia del processo di recupero, come dimostrato da alcuni progetti-pilota portati avanti da CRIF negli ultimi mesi.

La prima innovazione riguarda la possibilità di stimare con maggior precisione i tempi di recupero attesi delle diverse categorie di posizioni in sofferenza. La prassi prevalente oggi (adottata dalle banche ma anche dai grandi investitori e “servicer” esterni) prevede di differenziare i tempi sulla base della collocazione geografica delle esposizioni (in particolare dei tribunali presso cui è radicata la relativa procedura concorsuale), del tipo di credito e di garanzie. Vi sono in realtà altre variabili efficaci e spesso trascurate, come le caratteristiche dell’impresa insolvente (per esempio, società più grandi comportano mediamente attese più lunghe). Utilizzarle bene significa arrivare a stime dei tempi di recupero più precise, dunque a valutazioni più affidabili che consentono di spuntare anche prezzi migliori in caso di cessione.

Un secondo “cantiere” riguarda il c.d. processo civile telematico, che nel corso dell’ultimo decennio è stato esteso alla generalità dei tribunali e prevede il deposito e la consultazione degli atti per via informatica. Percepito spesso come un onere aggiuntivo, esso consente in realtà di rendere più efficace l’attività di recupero favorendo il controllo dei legali esterni e mettendo a disposizione dei servicer una base informativa estesa e aggiornata. Perché ciò accada tuttavia è necessario integrare i relativi database nelle procedure di gestione dei crediti deteriorati anziché far convivere in parallelo i vecchi sistemi e i nuovi flussi informativi legati al processo telematico (duplicando il lavoro e rischiando disallineamenti tra gli archivi).

Attraverso soluzioni di questo tipo è possibile accrescere l’efficacia delle attività di gestione degli NPL senza rinunciare a possibili margini di profitto e evitando di subire passivamente le richieste delle autorità di vigilanza, che premono perché i crediti deteriorati vengano rapidamente rimossi dai bilanci. Sta alle banche come sempre muoversi proattivamente, per evitare di essere mandate bruscamente dietro la lavagna.