La sostenibilità e la digitalizzazione: l’ortogonalità delle tematiche a supporto della “credit longevity”

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05/03/2021

Nulla spiega in modo sintetico i fenomeni quanto i numeri: in questo caso, 20% e 37%. Queste percentuali rappresentano la quota minima da destinare rispettivamente a trasformazione digitale ed ESG nel Recovery and Resilience Facility (in Italia denominato “Recovery Plan” e un valore complessivo di circa 210 miliardi di Euro). Si tratta di due capitoli indipendenti che insieme fanno quasi il 60% del totale delle risorse che verranno messe a disposizione dall’UE. 

Le analisi di CRIF aiutano a comprendere al meglio le ragioni della convergenza di tali fenomeni. Dopo le pesanti flessioni della domanda di credito delle famiglie italiane che hanno segnato il 2020, il nuovo anno si è aperto con una ulteriore contrazione: nel mese di gennaio la componente dei mutui immobiliari fa segnare un -6,6% malgrado la vivacità delle surroghe, mentre i prestiti nel complesso vedono un calo pari a -13,1% rispetto al corrispondente mese del 2020 ascrivibile fondamentalmente alla pesante battuta d’arresto dei prestiti personali, in calo del -27,1% contro il -1,4% dei finalizzati.

La dinamica in atto si conferma in scia con quanto era stato registrato nella seconda parte del 2020, con le famiglie che a fronte della seconda ondata di contagi a partire dall’inizio di ottobre hanno adottato un atteggiamento estremamente cauto.

In uno scenario ancora caratterizzato da una grande incertezza, il comparto ha visto però un forte accelerazione della digitalizzazione dei processi del credito, che hanno cambiato il paradigma di relazione tra consumatori e player finanziari. Nello specifico, durante l’anno 2020 si è registrato un incremento del +47% delle richieste di credito indirizzate verso le piattaforme di operatori “nativi digitali” rispetto all’anno 2019.

Rispetto al credito alle famiglie, la pandemia ha avuto un effetto diametralmente opposto sulla propensione delle imprese che hanno dovuto fare fronte a un pesante calo dei flussi di cassa. Come messo in luce da uno studio di CRIF Ratings, va però sottolineato come quasi la metà delle imprese italiane si sia trovata ad affrontare lo shock causato dalla pandemia partendo da situazioni di liquidità già delicate. Nello specifico, il 38% delle aziende si caratterizzava per una disponibilità di cassa in grado di coprire meno del 50% dei debiti finanziari a breve termine in scadenza, cui si aggiunge un ulteriore 8% di imprese senza particolari margini di manovra.


In un contesto così complesso e instabile, i player finanziari giocano un ruolo chiave nell’affiancare le imprese in un percorso non solo di ripresa ma anche di sviluppo sostenibile. A questo riguardo, il primo passo per l’integrazione dei fattori e dei rischi ESG nel modello di business degli istituti finanziari e la loro successiva mitigazione parte da un’analisi di impatto ESG sui propri portafogli.

Nello specifico, un’analisi originale di CRIF ha quantificato l’impatto ESG su un campione rappresentativo delle società di capitali italiane (circa 800 mila imprese) misurando l’incidenza dei settori sensibili alla tassonomia e la verifica del livello di adeguatezza delle aziende rispetto ai criteri ESG. La prima parte dell’analisi prevede l’applicazione degli attributi normativi stabiliti dalla tassonomia UE che individua 70 attività e 45 codici NACE appartenenti a 7 macrosettori distinguendo le attività produttive in Low Carbon, Enablers e Transitional.

Le attività “low carbon” sono già green e allineate alle previsioni della tassonomia, quelle “enablers” sono abilitanti per altre attività a favorire la transizione, quelle “transitional” sono attività altamente inquinanti che richiedono interventi di riqualificazione al fine dell’allineamento alle previsioni tassonomiche. Secondo questa analisi il 35% delle società di capitali italiane appartiene a settori eligibili rispetto alla tassonomia.

Una volta categorizzato il portafoglio e quantificato l’impatto dei settori su cui si è inizialmente concentrata la tassonomia (eligibili), la seconda parte dell’analisi prevede il calcolo di uno score ESG per discriminare ulteriormente, all’interno dei settori eligibili, ma anche quelli non eligibili, l’adeguatezza ESG delle imprese. Lo score ESG proprietario di CRIF, basato sul vasto patrimonio informativo CRIF Information Core e su circa 130 KPI in ambito ambientale, sociale e di governance, permette di attribuire un punteggio di adeguatezza ESG che va da 1 (punteggio migliore) a 5 (punteggio peggiore).

Secondo CRIF, circa l’83% delle società di capitali eligible presenta un'adeguatezza ESG medio-bassa e può beneficiare della “finanza sostenibile” per la riqualificazione. Tuttavia, se l’obiettivo dell’ESG è anche il miglioramento dell’inclusione sociale, possiamo dedurre che la trasformazione digitale assolve un duplice ruolo. Da un lato è un mezzo per ridurre la disuguaglianza in modo diretto, dall’altro può essere veicolo della finanza sostenibile per chi riscontra problemi all’accesso (digital lending).
Pertanto, quanto sopra sarebbe molto più difficile senza la disponibilità di un patrimonio informativo già esistente ma per sua natura viscoso come quello relativo ai dati ambientali, e anche in questo caso la trasformazione digitale funge da acceleratore.

In conclusione, se i dati sono il carburante per la trasformazione digitale e della sostenibilità ambientale, è solo attraverso uno scrupoloso processo di data governance che si potrà preservare la sicurezza e la qualità delle informazioni, e così monitorare l’effettiva transizione verso il nuovo modello.

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